lunedì 27 febbraio 2012

Anche se Atene affonda, l'euro è salvo.( Almeno per ora...)

I templi supplementari all’ombra del Partenone sono finiti da un pezzo. È da oggi però che sulle sponde dell’Egeo risuonano forti le sirene di una nuova Lehman Brothers. La notte ghiacciata sopra l’Acropoli non ha portato consiglio. E la giornata di oggi potrebbe raccontare la fine della Grecia nell’Eurozona.
Da oggi anche Bruxelles – segnalano gli esperti interpellati da Panorama.it– comincerà a fare i conti con il suo default, sempre più impossibile da scongiurare. Per Atene non ci saranno altre occasioni per salvarsi la pelle. Quel secondo pacchetto di aiuti da 130 miliardi di euro, che a causa del peggioramento della congiuntura economica è lievitato ad almeno 145, appare come un miraggio.
Per ottenerlo la Troika aveva chiesto alla Grecia di versare fino all’ultima goccia di lacrime e sangue. Bruxelles aveva rincarato la dose, reclamando una quadra entro domenica sera, sia nella trattativa con i privati, sia in quella con i prestatori internazionali. Risposta un due di picche.
Dire sì a una riduzione dei salari fino al 25%, della tredicesima e quattordicesima, il licenziamento di 150 mila impiegati statali entro il 2015, un intervento sulle pensioni complementari e nuovi tagli pari all’1% del Pil - circa due miliardi di euro - inclusi gli abbattimenti di costi di difesa e sanità avrebbero condannato Atene alla rivoluzione, ha tuonato stanotte Georges Karatzaferis, leader di estrema destra.
E con lui lo hanno fatto Georges Papandreou, che guida i socialisti e Antonis Samaras, esponente della destra. Niente di fatto insomma per la maratona di colloqui che aveva intavolato con i partiti che sostengono la sua maggioranza il premier greco, Luca Papademos.
Ha tentato il tutto per tutto telefonando al presidente della Bce, Mario Draghi, e al direttore generale del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde. E secondo il tam tam di mercato non avrebbe ancora gettato la spugna: punta a un nuovo valzer di colloqui oggi. Peccato che potrebbero non servire a sgombrare il campo dagli equivoci: quelli che danno ormai Atene spacciata.
Il 13 febbraio è in agenda l’ultimo termine tecnico per evitare la bancarotta. Poi il baratro. “Siamo stati molto generosi”, ha detto il presidente dell’Institute of international financing (Iif), Joseph Ackerman, dalla tarda mattinata di nuovo nel Paese auspicando che i creditori pubblici facciano lo stesso, ovvero aiutino ulteriormente la Grecia accettando perdite sui loro bond.
Che i negoziati sui tagli di bilancio potessero imbattersi sulla strada dei guai lo aveva intuito Erik F. Nielsen, Global Chief Economist di UniCredit Research. “Ho sempre pensato che fossero difficili. In Grecia i tre leader dei partiti si sono uniti nel dire no ai tagli aggiuntivi – ricorda –. Sono convinto che un’intesa sarà trovata prima che sia troppo tardi. Se vogliamo evitare un default disordinato a marzo le trattative dovranno essere chiuse, massimo entro due settimane.  Non è un caso – osserva – se l’Ecofin sia stata rinviata a data da destinarsi”.
“Continuiamo a ritenere la probabilità di un default della Grecia disordinato sia remoto per il fatto che le ripercussioni saranno davvero importante e difficili da determinare”, avverte Richard McGuire senior fixed-income strategist di Rabobank.  “La politica del rischio calcolato e le posizioni già pre-elettorali assunte dai partiti in Grecia porteranno a ulteriore nervosismo”. Oggi però la realtà racconta un’altra verità.
Anche se Atene affonda, l’euro è salvo. Gli spread non si scompongono più di tanto. A metà mattinata il differenziale tra i Btp e il Bund a 10 anni era salito fino a 390 punti circa. Situazione ancora sotto controllo, insomma. Sabato era stato lo stesso presidente dell’Eurogruppo, Jean Claude Juncker a evocare un simile scenario, dopo mesi in cui aveva puntalmente smentito qualunque ipotesi del genere. “La Grecia sarà l’eccezione alla regola che i Paesi della zona euro non possono andare in default”, riprende Nielsen.
E così sia, finché non saranno poi Portogallo e Irlanda a tremare sotto il peso dell’impalcatura di una moneta unica che scricchiola sempre di più.http://video.repubblica.it/dossier/crisi-euro-merkozy/mastrogiacomo-oggi-atene-e-una-citta-dolente/87988/86381

mercoledì 22 febbraio 2012

"A vent'anni da mani pulite..."

« Tutto era cominciato un mattino d'inverno, il 17 febbraio 1992, quando, con un mandato d'arresto, una vettura dal lampeggiante azzurro si era fermata al Pio Albergo Trivulzio e prelevava il presidente, l'ingegner Mario Chiesa, esponente del Partito Socialista Italiano con l'ambizione di diventare sindaco di Milano. Lo pescano mentre ha appena intascato una bustarella di sette milioni, la metà del pattuito, dal proprietario di una piccola azienda di pulizie che, come altri fornitori, deve versare il suo obolo, il 10 per cento dell'appalto che in quel caso ammontava a 140 milioni. » Enzo Biagi

17 febbraio 1992 ha inizio "mani pulite"

Una stagione nuova pensammo, quel pool di magistrati cominciano a mettere le mani su sistemi consolidati che riguardano l'economia, la politica, le istituzioni in generale.
Corruzione e concussione i reati più frequenti; nel 1992 inizia una stagione durata diversi anni che genera migliaia di avvisi di garanzia, arresti eccellenti, suicidi e confessioni.
Grande il clamore, al centro del quale c'era, naturalmente il tribunale di Milano, e  i nuovi paladini della giustizia impersonati da Antonio Dipietro, Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo, solo per citare quelli che acquisirono,  probabilmente loro malgrado una notorietà degna di un reality.
Era l'anno in cui il TG5 iniziava le sue trasmissioni, occasione ghiotta,che ad onor del vero nessuno si lasciò sfuggire... ne derivò una spettacolarizzazione spesso fastidiosa anche per un popolo notoriamente voyerista, quale siamo. Giovani cronisti, fu uno di essi a coniare il neologismo "tangentopoli",alle prese con una mole impressionante di eventi e carte processuali, facevano la spola tra San Vittore e Palazzo di Giustizia, quest'ultimo perennemente assediato.
E su tutti lui: Paolo Brosio, divenne famoso quasi quanto i magistrati,la sua immagine associata al Tribunale di Milano, i suoi collegamenti, per Rete 4 quasi una scenografia...sempre la stessa: alle spalle il Palazzo di Giustizia e il tram arancione che passa...
Microfoni e flash, rudimenti di quel potere mediatico che avremmo ampiamente sperimentato negli anni a seguire.
Una stagione di grandi speranze,la seconda repubblica... ma a distanza di vent'anni cosa rimane di mani pulite?
La struttura economica , politica , sociale del Paese è immutata, stagnante.
Angosciante quanto dichiarato dal presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, nel discorso di inaugurazione dell'anno giudiziario : "Illegalità, corruzione e malaffare sono fenomeni ancora notevolmente presenti nel Paese le cui dimensioni sono di gran lunga superiori a quelle che vengono, spesso faticosamente, alla luce".
E se questo non bastasse, o meglio ad avvalorare tutto questo , la classifica stilata dall'organizzazione non governativa Transparency Internation, che analizza il livello di corruzione percepita e che fa collocare il bel Paese ad un non invidiabile 69esimo posto su 183 , insomma peggio del Ghana, giusto per citarne uno. In cima alla classifica, in quanto
minore risulta il livello di corruzione percepita, manco a dirlo Danimarca e Finlandia, giusto per fermarsi all'Europa.
Vent'anni non sono dunque bastati per realizzare un modello culturale diverso, che almeno ci desse una parvenza di Paese civile.
Impantanati e imputtanati, perchè al peggio non c'è fine, perchè come se non bastasse abbiamo fatto in modo di subire un altro ventennio, di farci governare da un giullare variamente imputato, assolto , prescritto, archiviato, ingiustamente perseguitato, eccetera, eccetera, eccetera...
Il tessuto sociale, economico e politico di questo Paese è in necrosi, occorre una cura, bisogna cambiare...
Lui ce l'ha fatta.Sì Paolo Brosio...Si è convertito, folgorato sulla via di Damasco, ora è diventato il testimonial di Medjugorjie, non so se faccia i collegamenti in diretta con Fede, certo è che di questa sua privatissima esperienza di fede ha reso partecipi tutti. Dalle ospitate televisive, alla pubblicazione dei libri, in pochi si sono salvati...Convertito sì, ma mica santo!!!
Questo rimane di "manipulite", il repulisti sì, ma tornando sotto forme di vita nuove...


sabato 16 aprile 2011

La libertà dei servi

“Non ho paura di Berlusconi in sé, ma di Berlusconi in me” (Giorgio Gaber)




La libertà dei servi, protagonisti Berlusconi e la sua corte. Fa venire in mente un palcoscenico dove i cortigiani frusciano intorno al principe che tutto può, in grado di distribuire a chi lo serve prebende e benefici materiali e simbolici e di levarglieli quando vuole. Ed essi vivono felici per le loro condizioni di vita, le ricchezze, gli onori, turbati soltanto perché – la libertà dei cortigiani è precaria – basta una diceria, un passo falso, un minuscolo errore sottolineato da un sopracciglio levato del principe e tutto crolla come un castello costruito sulla sabbia.
Corrado Stajano su: Il Corriere della Sera (17/06/2010)




Il saggio di Maurizio Viroli, La libertà dei servi (Laterza ed.) riguarda la stretta attualità politica ― l'impero di Berlusconi ― interpretato attraverso le categorie rinascimentali della società di corte, in cui il principe regna dall'alto, forte della sua potenza, i cortigiani allietano il dominus, e il popolo, cioè i servi, credono di vivere in libertà, poiché sono tali e non liberi cittadini.

"La libertà dei servi" Maurizio Viroli

«La libertà dei servi o dei sudditi consiste nel non essere ostacolati nel perseguimento dei nostri fini. La libertà del cittadino consiste invece nel non essere sottoposti al potere arbitrario o enorme di un uomo o di alcuni uomini».
Di conseguenza «poiché in Italia si è affermato un potere enorme, siamo – per il solo fatto che tale potere esiste – nella condizione di servi. Il potere in questione è quello di Silvio Berlusconi [...]. Un potere simile 
mai si era affermato all’interno delle istituzioni liberali e democratiche di alcun Paese».
Se essere cittadini liberi vuol dire non essere sottoposti a un potere enorme e assolvere i doveri civili, è evidente che gli italiani non possono dirsi liberi; ossia, sono sì liberi, ma liberi nel senso della libertà dei sudditi o dei servi.

Gli italiani hanno dimostrato nei secoli una spiccata capacità di inventare sistemi politici e sociali senza precedenti. Anche la trasformazione di una repubblica in una grande corte è un esperimento mai tentato e mai riuscito prima. Rispetto alle corti dei secoli passati, quella che ha messo radici in Italia coinvolge non più poche centinaia, ma milioni di persone e le conseguenze sono le medesime: servilismo, adulazione, identificazione con il signore, preoccupazione ossessiva per le apparenze, arroganza, buffoni e cortigiane. Poiché il sistema di corte ha plasmato il costume diffondendo quasi ovunque la mentalità servile, il rimedio dovrà essere di necessità coerente alla natura del male, vale a dire riscoprire, o imparare, il mestiere di cittadini. Per quanto sia ardua, è la sola via. Il primo passo è capire il valore e la bellezza dei doveri civili.